sabato 9 novembre 2013

LA NEW YORK MARATHON DI ALBERTO DAMIOLI!!!

Di nuovo sull'italico suolo, anche se non ancora diciamo a regime del 100%, più per aver dormito in una settimana "newyorchese" due ore per notte che a causa del noto jet-lag di andata e ritorno Italia-Stati Uniti (cavoli riesco anche a scrivere in english perfetto o si dice american...boh). Quelli di una certa età anagrafica sanno del resto che i vecchi trattori Landini prima di andare in temperatura ci mettevano ore e ore.... poi però non li fermavi più.
Scherzi a parte, devo innanzitutto confessare (dando ragione a più di un amico) che dopo due giorni "vissuti là intensamente" mi ero già ricreduto sulla mia opinione scettica a riguardo del fascino che la città più importante del mondo sotto molteplici aspetti poteva avere su di mè. Questo perchè  il mio spirito è più legato agli ambienti naturali, orizzontali o verticali che siano, a città intrise di storia come Roma o Parigi, a genti meno fornite I-Phone e I-Pad e invece....... ci siamo divertiti fès e fatto pure il pieno di sensazioni positive. Ad accompagnarmi il più grande dei miei tre figli con il compito di tenere a freno il "vecchio" nelle scorribande urbane, riuscendoci solo in parte, perchè durante la corsa il matto un po' l'ho fatto.


New York confesso di averla sentita tanto anche con i piedi (non solo per i chilometri macinati a zonzo per Manhattan e da Verrazano Bridge a Central Park in quei fantastici KM 42.195 m.) e mi chiederete perchè, perchè è piantata sulla roccia che affiora evidente in piu' punti in questa metropoli (e già quì il punteggio sale a suo favore di molto). Gli scalatori per questo sono un pochino (tanto) malati, piedi e polpastrelli abituati a ingaggiare sempre match con l'elemento geologico.
La quotazione sale alle stelle poi, per quel mondo quasi tutto verticale sfavillante di luce e colori , con dei cromatismi anche di giorno unici tra un mastodonte e l'altro, inchinandosi all'orientale davanti alla mole dell'Empire State Building (costruito in soli 400 giorni.....) e alle migliaia dei suoi fratelli minori. Non manca neppure una natura straripante di specie vegetali e animali che è il cuore verde pulsante della città in quel Central Park dove ad ogni curva ti sembra apparire IL MARATONETA Dustin. Una cavalcata sui Bridge ti fa' ricordare che a New York c'è il mare, o meglio un'oceano e due grandi fiumi! Scendendo sulla punta di quell'isola che è Manhattan, vien voglia di pregare davanti al gran "vuoto" delle Torri Gemelle e pure sotto la magnificenza bronzea di Miss Liberty dove milioni di esseri umani sbarcavano scappando da fame e miseria (un film che si ripete molto più tristemente da noi a Lampedusa, senza l'America del boom ad accoglierli).
Del fattore umano parlo (ed è quello che più mi ha lasciato il segno) in queste righe descrivendo la  MIA NEW YORK CITY MARATHON edition 2013 (che molti definiscono la Maratona più bella del mondo). Forse non ho ancora metabolizzato e compreso quanto mi è entrato dentro in quei 42 Km e 195 m. ci vorrà ancora un po' di tempo, ma ora a casa quando mi scorrono le immagini nella mente del 3 di novembre 2013 quasi, senza quasi mi commuovo ancora come all'arrivo. La cronaca della giornata inizia ancora al buio con la partenza in pullman e  già guardando dal finestrino quanto è distante Verrazano Bridge capisco che sarà dura la passeggiata di oggi (mi consolo dicendomi che non ho il solito zaino da 30 kg di ferraglia sulla schiena). Poi ci fanno il pelo e il contropelo giustamente ai controlli di sicurezza (temevo mi chiedessero anche come stava la mia prostata). A seguire, una lunga attesa e il freddo, ma di quello come speleo-alpinista-fondista ne ho patito tanto che quasi non l'ho sentivo. I brividi invece li ho avuti eccome, all'inno cantato con splendida voce da una ragazza di colore, davanti ai marines sull'attenti, poi al colpo di cannone tutto si è dissolto volando via insieme alle sferzate tremende del vento dall'oceano atlantico. Il corpo e la mente, ho avuto l'impressione alla sommità del ponte e prima della discesa che fossero entrate in un nirvana perfetto e correvo a ritmi superiori al mio abituale, disturbato solo a tratti dal fragore del vento sul pettorale. Il grande fiume colorato dei runner correva verso Nord controcorrente, incontro alla gente dei quartieri della città che da quì in avanti era solo lì per noi, con strumenti, voce, tifo, concerti dal jazz al rock, non potevi non soffermarti almeno un paio di secondi a ringraziarli per questa musica, per l'atmosfera da sogno. Come potevi non dare il cinque a migliaia e migliaia di  adulti e piccini con la mano tesa, visi di tutte le fisionomie e colori, che spesso incitavano con VAI BIBO ITALIA (era scritto sulla mia maglia, furbo). Le miglia scorrevano sotto le suole e i quartieri anche (più o meno), Brooklyn, Queens, fino al durissimo ponte Qeensboro Bridge (meglio conosciuto come ponte di Brooklyn) dove ti trovi poco oltre la metà corsa e la fatica comincia a risalirti dentro. Ma la medicina curativa per questa crisi viene poco oltre una curva secca dove un boato di tifo mai sentito ti accoglie nell'immissione nella Quinta strada. In questi quasi 7 chilometri vieni sospinto nonostante la stanchezza dal calore della gente verso il Bronx e l'ennesimo ponte che ti fa' ritornare in quel di Manhattan, il fiume dei runner a questo punto è sempre più in piena. Poi finalmente il verde di Central Park appare all'orizzonte e in quel momento mi risuonano nelle orecchie le parole di Gianni: "lì Alberto stai attento, stai tranquillo, perchè Central Park è difficile.... e anche un po' bastardo". Il percorso è tutto ondulato, alterna salite e discese costantemente ed in una di queste è arrivato il crampo doppio quadricipite/adduttore alla gamba sinistra, così ho dovuto camminare dal 24° al 25° miglio (peccato, ma è andata benissimo lo stesso anche così). A questo punto il vecchio Landini ha scalato un paio di marcie ed è ripartito fino ad andare quasi a sbattere contro il traguardo (che non vedi mai fino all'ultimo) e all'abbraccio di mio figlio che mi ha asciugato le lacrime che sgorgavano da sotto gli occhiali. Sopra quell'abbraccio un display rosso dava i numeri penso: 4.18.16.
I grazie: a mio figlio Luca che mi ha fatto compagnia e da interprete, al grandissimo Gianni Poli per le preziosissime dritte e per l'amicizia dimostrata, al fortissimo marocchino bresciano gussaghese Kalid (16°) dal sorriso coinvolgente a cui devo più di un caffè, a tutto il team di Victory Events con Massimo in testa, un grazie particolare a NEW YORK CITY.

                                                                                                                                                                  ALBERTO DAMIOLI

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